Benvenuta, Benni Bosetto



Benni Bosetto è la terza artista senior del secondo anno del progetto di residenze dal titolo “Ogni casa è un villaggio”. Il progetto di Bosetto prevede la realizzazione di una pubblicazione in due esemplari composta da ricami, disegni e intarsi.
Con Benvenuta, titolo dell’opera, Benni Bosetto intende esplorare il concetto di intossicazione, possessione e invasività, intese come condizioni psicofisiche e fenomeni che coinvolgono l’infestazione e l’ospitalità interspecie. Questo processo è stato costruito attraverso un'indagine sul corpo e sulle emozioni, nella loro interazione con l’ambiente naturale e soprannaturale.
L'indagine ha trovato nel disegno il suo medium di riferimento, dando così vita ad una rete di connessioni e legami tra l’artista ospitata, il territorio e le persone che lo abitano.
Siamo continuamente in contatto con altre entità, anche all’interno della presunta integrità dei nostri corpi, dice l’artista. Pensiamo ai microrganismi che sono vitali per la nostra esistenza, alle malattie, ai parassiti, ma anche ai sentimenti e alle emozioni che ci invadono e ci dominano. Paradossalmente, continua l’artista, dentro di noi si nasconde sempre il corpo di un altro. È come quando mangiamo o siamo mangiati, quando ci riproduciamo o quando l’amato risiede nei nostri pensieri.
Anche l’amore può essere interpretato come una forma di parassitismo, come una malattia che intossica il nostro corpo e altera la percezione della realtà. La biologia, la chimica, ma anche la poesia e persino il misticismo offrono diverse letture di queste coesistenze, che vengono viste come un’invasione del corpo, un possedimento o un’unione che ha il potere di trasformare.
Quello dell’intossicazione è stato il tema che ha guidato la ricerca a Castrignano de’ Greci per la tua residenza. Un tema che in questo territorio ha facili e immediati riferimenti con il dramma della Xilella. Tu sei riuscita, però, a darne un’interpretazione e una declinazione più ampia mettendolo in relazione con i concetti di possesso, trauma, ospitalità e amore che possono avere allo stesso tempo accezioni positive e negative. Come hai pensato di collegare insieme queste idee?
Ho voluto adottare uno sguardo che potrebbe sembrare scomodo: quello che considera il rapporto tra intossicante e intossicato non necessariamente come qualcosa di distruttivo, ma come un aspetto intimo e intrinseco della connessione umana — e forse persino universale. L’intimità, intesa come profonda fusione tra luoghi, corpi, emozioni e ciò che è effimero, è una dimensione estremamente complessa. Attraverso questa lente, il tema dell’intossicazione si apre a molteplici interpretazioni, che spaziano dal biologico all’emotivo. Mi interessa osservare come siamo costantemente ospiti — e ospitanti — gli uni degli altri, non solo nei corpi ma anche nelle memorie, nei desideri, nei dolori. L’idea di contagio, in questo senso, diventa un modo per interrogare la vulnerabilità umana e il nostro legame profondo con la vita microbica, con ciò che ci attraversa e ci modifica.
Guardare al rapporto tra corpo e malattia, come nel caso emblematico degli ulivi colpiti dalla Xylella, permette di estendere questa riflessione all’ambiente: un ambiente che non è altro da noi, ma partecipe degli stessi meccanismi chimici e affettivi che regolano la nostra interiorità.
In questo paesaggio si intrecciano i fantasmi della perdita, le nevrosi della dipendenza da qualcuno, la paura e il desiderio di fusione. Amore e malattia, dopotutto, condividono un vocabolario comune: divorare, nutrire, consumare, spezzare, accecare, guarire. Possono terrorizzare o redimere, distruggere o curare. In questa ambivalenza si apre uno spazio fertile per pensare non solo all’intossicazione come danno, ma anche come possibilità di relazione, trasformazione e rinegoziazione dell’intimità.
Benvenuta, titolo dell’opera che si evince dalla copertina ricamata sulla scatola in legno è un libro d’artista: una pubblicazione in due volumi, una raccolta di disegni, ma è anche uno scrigno prezioso dove hai voluto inserire altri piccoli oggetti personali. È un’opera intima, personale appunto, che attraversa e si mette in relazione con tante altre intimità (luoghi e persone). diventando così un’opera universale. Come sei riuscita a mettere in dialogo queste due polarità?
All’invito ho risposto mettendomi in una posizione di ascolto. Ho scelto di accogliere tutto ciò che arrivava dall’esterno senza gerarchie, lasciandomi guidare da un ritmo casuale, istintivo, emotivo. Ho vagato con la mente perdendomi nella possibilità dell’esistenza dell’invisibile. Questo stato di apertura mi ha permesso di ospitare — e mettere in dialogo poetico — elementi molto diversi tra loro: luoghi abitati da fantasmi secondo credenze popolari, piante considerate infestanti, ritratti di persone che, almeno una volta nella vita, sono state “affette” dall’amore.
Durante il periodo di residenza ho vagato, osservato, raccolto e mappato. Ho cercato, attraverso il mio stesso movimento, una possibile coabitazione tra i soggetti della mia ricerca: luoghi, corpi e presenze invisibili. Quello che ne è nato è un archivio affettivo e sensoriale, un libro-doppio, uno scrigno ricamato che raccoglie insieme disegni e piccoli oggetti personali.
Il filo conduttore è stata la volontà di rivalutare l’invisibile e il marginale: ciò che è spesso giudicato “troppo fragile”, “troppo ribelle”, “fuori posto”. Fantasmi, piante infestanti, amanti: tutte figure che resistono all’oblio, che si muovono nel disordine, fuori dalle norme. Sono forme di vita radicali e vulnerabili, presenze che non si lasciano addomesticare.
Metterli insieme in una scatola è stato un gesto di cura, un atto accogliente e prezioso. Benvenuta è dunque un invito a entrare in relazione con queste presenze liminali — un oggetto intimo che, proprio attraverso l’intimità, si apre all’universale. Benvenuta è il mio nome di battesimo. È il nome della madre di mio padre. Benvenuta morì quando mio papà aveva sei anni. Sono sempre stata convinta che dentro il mio nome si nascondesse un fantasma. L’entità e il trauma di qualcun’altra. Mi interessa però che il nome nel suo significato accoglie, abbraccia. Cura.
Perché hai pensato al ritratto e al disegno come modalità e tecnica per restituire il racconto, sia delle persone con cui hai parlato e che ti hanno confidato le loro storie personali, che dei luoghi che hai visitato durante la residenza?
Il disegno ti permette di credere a tutto, non con l’ingenuità, ma nella purezza. Si stabilisce un contatto estremamente rispettoso con la realtà, in questo caso con l’amore che le persone che si sono prestate al ritratto custodiscono dentro di se consapevolmente o incosapevolmente. Il disegno accarezza la sensazione senza conoscerlo. Ferma il ricordo dell’amore senza violazione fisica o mentale.
Il disegno è in grado di dire mantenendo il segreto. Permette di filtrare e sospendere. Utilizza un codice prelogico. Nasconde nella forma, e nel gesto. È uno spazio estremamente privato ed accogliente. Protegge senza censurare. Al contrario della parola non tradisce e come la poesia è puro, e come ogni spazio ha un corpo ed è vivo. Trasforma, rigenera, apre a multiple possibilità. Credo sia fondamentale rimanere aperti all’interpretazione univoca.
Il segno che ho scelto, è un segno democratico. Costruisce un legame fisico con i soggetti rappresentati . Pone tutto allo stesso piano.
C’è un criterio con cui hai deciso di sistemare i disegni nei due volumi?
Ho sistemato i disegni pensando al sogno, alla struttura del sogno. Alla struttura caotica del vagare della mente. Non è una sistemazione logica. Mi fiderò dell’inaspettato.