Play Dead! III

Play Dead! (Ep. III)

“Ad occhi aperti”

Maria Adele Del Vecchio, Eleonora Meoni, Marta Orlando

“Save your tears (and sighs) for another day”

Janina Frye, Arianna Ladogana

L’idea di fine è sempre stata oggetto di riflessione per la specie umana, che l’ha trasposta al cinema, in letteratura e in arte, in un tentativo di padroneggiarla, sintetizzarla, comprenderla. Perché l’apocalisse, personale e globale, dovrebbe condurre a una rivelazione - dal greco kalýptein; disvelare. O forse, più semplicemente, trattare l’apocalisse porterebbe a esorcizzare una paura condivisa poiché è parlando della cosa che, scaramanticamente, si allontana la possibilità che questa accada. Forse, guardandone la sua distruzione, potremo finalmente riuscire a vedere come è fatto il mondo. “I mari, le montagne. Il poderoso contro spettacolo delle cose che cessano di esistere. La sconfinata desolazione, idropica e gelidamente terrena. Il silenzio”.

Play Dead! prova a indagare il concetto di fine (e il suo opposto, l'inizio, il nuovo inizio. L'alfa e l'omega). All’interno di una maglia interlacciata e agentica il progetto mette a confronto differenti punti di vista, cellule dove poter esperienziare le reciproche connessioni tra biotico e abiotico, tra vita cibernetica e morte fisica, tra tangibilità dei limiti fisici e l'illusorietà di uno scroll eterno. Satelliti attraverso i quali riflettere sulla minaccia del disastro globale, sul suicidio collettivo e il desiderio di resurrezione o sul senso di ombra perturbante dal futuro.

Attraverso visioni religiose e animistiche nonché teorie e pratiche concettuali, postumaniste, transumaniste ed ecologiste il progetto tenta di sperimentare il superamento del limite, ponendo domande come, cosa troviamo oltre la fine? E oltre la morte? La morte rappresenta necessariamente la fine, possiamo prendere in considerazione la possibilità di essere contemporaneamente vivi e morti o né vivi né morti, al di fuori dello sguardo dell’altro? La fine del mondo è già avvenuta, sta avvenendo o avverrà? Se, come sostiene Heidegger, per mondo intendiamo “una totalità di senso”, esso non è mai realmente esistito. Esistono solo porzioni di mondo, quelle con cui entriamo in relazione di volta in volta. Si tratta quindi di fare i conti con questa fine – che però è sempre allo stesso tempo (un altro/primo) inizio? Riuscire a vedere già il mondo alla luce della catastrofe finale, significa vederla come un giorno apparirà o riconoscere la sua contemporaneità morfologica con noi?

- Il progetto Play Dead! si è evoluto negli spazi di Kora Contemporary Art Center nel corso di un anno di programmazione. Con l’avvicendarsi delle stagioni abbiamo assistito ad un processo randomico di evaporazione delle opere, svanite per lasciare spazio a reincarnazioni virulente e espansive da parte di altri artisti. La mostra è partita quindi con una precisa conformazione e visualizzazione per ritrovarsi totalmente difforme al suo finire. L'abbandono ha attivato un portale della trasformazione a nuove forme di vita innescate dalla decomposizione delle precedenti.

Pensato come un sistema aperto, Play Dead! ha seguito il principio della metamorfosi multi-corpo della farfalla: non una transizione lineare, ma un processo rizomatico in cui ogni stadio—uovo, larva, crisalide, adulto—porta in sé la memoria di ciò che è stato e l’implicito potenziale di ciò che sarà. Qui la trasformazione non è una tensione verso un punto finale, ma un incessante divenire in cui ogni traccia è già l’anticipazione della sua sparizione e ogni fine è il preludio di una nuova espansione. L’intero progetto si configura dunque come un campo di forze in mutazione, un dispositivo in cui la materia si consuma per generare altre possibilità, un ciclo che, come il tempo eracliteo, non ritorna mai identico ma si rinnova in ogni istante del suo stesso fluire.*

- Le opere coinvolte nel primo stato/corpo della metamorfosi di “Play Dead!” hanno affrontato la dinamica inizio/fine attraverso la dimensione (concettuale, visiva, poetica, politica, performativa, mitica) della parola, il verbo, il principio (della fine). Questa fase ha agito come un’indagine sul linguaggio inteso non solo come strumento espressivo, ma come atto generativo e terminale; una riflessione sul linguaggio come luogo di differenza e slittamento.

Nella seconda fase evolutiva abbiamo assistito ad una inter-relazione tra le opere e la ciclicità generativa di vita e morte attraverso uno sguardo non umano e trans-soggettivo. Qui si è manifestata l’eco di una visione che intende l’identità come dissolta, in cui la prospettiva si decostruisce, lasciando spazio a una forma di esistenza che trascende l’umano.

Play Dead! III incarna lo stadio performativo ultimo della crisalide, il punto in cui la trasformazione diventa atto e possibilità. Qui la metamorfosi non è solo biologica o simbolica, ma si fa esperienza radicale del limite: un doppio movimento tra affermazione e dissoluzione, tra il principio e la fine, che non si oppongono ma si alimentano reciprocamente. Entrambe le risposte/proposte progettuali oscillano tra persistenza, resistenza e sopravvivenza, non come semplici strategie di permanenza ma come matrici di nuove possibilità, come un movimento che si rigenera nel confronto con il limite, nella capacità di abitare la soglia tra ciò che finisce e ciò che può ancora divenire.

- Resistenza alla vita attraverso il potere salvifico della scrittura che si fa corpo e cura, memoria e antidoto contro l'oblio, nel caso di “Ad occhi aperti” (Maria Adele Del Vecchio, Eleonora Meoni, Marta Orlando). La parola qui è al tempo stesso rifugio e atto di ribellione, spazio della sopravvivenza e dispositivo di risegnificazione.

- Sopravvivenza di un corpo (umano/non umano) attraverso la presenza pervasiva, quasi intrusiva, della macchina, della tecnologia (perennemente in bilico tra l’incarnazione del progresso e e dell’innovazione e un’aura di decadenza autoreferenziale che paradossalmente diventa affascinante nella sua latente obsolescenza e morte) nella visione di “Save your tears (and sighs) for another day” (Janina Frye, Arianna Ladogana).

- *Il titolo Play Dead! (da intendersi anche come “fingiti morto!”) fa riferimento alla morte apparente; un comportamento attraverso il quale gli animali così come alcuni funghi o le piante “fingono” di essere morti. Si tratta di uno stato di immobilità innescato da un atto traumatico, predatorio, difensivo o riproduttivo e può essere osservato in una vasta gamma di animali, dagli insetti e crostacei ai mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci e, naturalmente, negli esseri umani.

- *La mostra è supportata mentalmente/spiritualmente da @wecroakapp

Si tratta di un'app che ogni giorno e in orari random ti invia cinque esortazioni a fermarti e pensare alla morte. Si basa su un detto popolare bhutanese secondo cui per essere una persona felice bisogna contemplare la morte cinque volte al giorno.

Indietro
Indietro

Ad occhi aperti | Maria Adele Del Vecchio

Avanti
Avanti

Ogni Casa è un Villaggio | Maria Adele Del Vecchio